Bentornati! Giornali e leader politici italiani non fanno passare un giorno senza proporre “Una Donna” per ruoli istituzionali importanti come quello di Presidente della Repubblica, senza mai specificare nomi o identità di questa persona. Cerchiamo di capire le conseguenze di questa fissazione comunicativa.
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Su Instagram si trova una simpatica pagina, Una donna a caso, che raccoglie titoli di articoli della stampa italiana nei quali si registra una fissazione culturale rilevante nel nostro paese: quella per i riferimenti a generiche figure femminili, in un racconto che - dalla politica al gossip, dallo sport allo spettacolo - priva le protagoniste di queste storie del fondamentale diritto al nome.
Un’evidente prova di questa inclinazione è rintracciabile nel dibattito sui candidati al ruolo di Presidente della Repubblica, al centro delle cronache da ormai diverse settimane. A fine dicembre il leader del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, proponeva “una donna” per il posto al Quirinale. Sul quotidiano La Stampa, un gruppo di intellettuali ha firmato un appello perché venga votata una figura femminile alla presidenza. “Non è questa la sede per fare un elenco di nomi”, si legge.
Perché giornali ed opinione pubblica sono così fissati con l’idea di porre al centro del dibattito una personalità femminile non identificata?
Le conseguenze di un incarico così rilevante assegnato ad una donna non sarebbero da poco, sul piano simbolico. Per decisori e osservatori politici, evidentemente, la possibilità di generare un cambiamento culturale attraverso la nomina di un Presidente della Repubblica di genere diverso da quello dei dodici illustri nomi che si sono succeduti dal secondo dopoguerra ad oggi è parecchio allettante.
Una svolta di carattere formale è sicuramente auspicabile. L’esempio che potrebbe fornire la presenza di una donna al Quirinale sarebbe sicuramente positivo e metterebbe fine ad una carenza femminile nelle posizioni di potere più rilevanti in Italia - visto che non c’è mai stata nemmeno una Presidente del Consiglio donna, nella storia repubblicana.
Se ad esso, però, non viene affiancato un intervento sostanziale, l’evoluzione sul piano simbolico perde irrimediabilmente di valore. Uno Stato che vanta una Presidente della Repubblica ma che è costretto a convivere con gap salariale, congedo di paternità di dieci giorni, tasso di occupazione femminile decisamente più basso di quello maschile e ostacoli al diritto d’aborto non rappresenta un’avanguardia, quanto più una frustrante contraddizione.
Con posizioni favorevoli ad “Una Donna Presidente” purché sia tale si rischia di favorire esattamente questo tipo di dinamica discordante. Vien da chiedersi: e se questa donna non rappresentasse un’individualità così apprezzabile? Se avesse scarsa sensibilità rispetto a temi rilevanti delle battaglie femministe? È successo al Parlamento Europeo, con l’elezione di una presidente contraria all’aborto.
Il dibattito su “Una Donna Presidente” può essere, inaspettatamente, inteso come un buon segnale. Siamo arrivati al punto in cui la mancanza di una figura femminile in alcuni ruoli istituzionali è talmente inaccettabile da invogliare un ampio gruppo di persone a richiedere a gran voce il superamento di questo inaccettabile paradosso. Quando questa grave lacuna verrà colmata - magari non già con la votazione di fine mese, ma la possibilità di avere un capo di Stato o del governo di genere femminile si concretizzerà inevitabilmente nel giro di qualche tornata elettorale - dovremmo farci trovare pronti. Sarà necessario aver plasmato una società più avanzata, in termini concreti, per quanto riguarda la condizione femminile.
Il “cambiamento culturale” di cui si parla spesso sui social riguardo ai temi della condizione femminile è un obiettivo fondamentale, ma va contrassegnato con tappe concrete per non restare un virtuoso e condivisibile slogan. Ben venga una Presidente della Repubblica, ma senza dimenticarci di pretendere interventi riguardo le storture che colpiscono ancora le donne italiane.
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