La guerra l’abbiamo già persa. Marracash dice qualcosa di simile nel ritornello della canzone “Gli sbandati hanno perso”, con delle parole che sintetizzano bene il modo in cui mi sento seguendo le notizie in quei giorni in cui la cronaca porta con sé soltanto orrore, tristezza, rabbia, senso di impotenza.
Chi sono questi sconfitti? Restiamo sull’attualità: chi pensa che lo Stato dovrebbe prendersi cura dell’incolumità dei suoi cittadini, non di punirli a tutti i costi. Il servizio del TG3 sul caso di Ramy Elgaml racconta un’altra storia: lo Stato insabbia la verità, lo Stato può prendersi la tua vita se commetti un errore, lo Stato non si fa nessun problema ad utilizzare la violenza in modo improprio.
Chi da più di un anno chiede la fine della strage di civili palestinesi, in un mondo occidentale che chiude gli occhi colpevolmente sulle azioni del governo israeliano. Altri sconfitti. L’eliminazione del popolo palestinese va avanti e chissà se ci sarà ancora, un popolo, quando l’invasione dei territori palestinesi finirà.
Chi pensa che sia un diritto per tutte e tutti avere una casa, pagare cifre sostenibili per affittarla, avere stipendi che permettano di vivere un’esistenza serena. Sconfitti. Le grandi città sono sempre più ostili alle persone giovani e ai precari, diventano vetrine scintillanti per le grandi catene, respingono chi sta ai margini.
Chi lotta contro il cambiamento climatico, chi contro le discriminazioni che subiscono le soggettività non egemoni, chi spera che un’alternativa politica credibile alle destre affariste e reazionarie si possa imporre nei maggiori paesi occidentali. In ordine: la Terra sta bruciando; classismo, abilismo, omofobia, transfobia, misoginia, e razzismo continuano a sopravvivere, di generazione in generazione; movimenti di sinistra che sappiano farsi valere non se ne vedono.
Ci si sente in balia degli eventi, minuscoli bulloni di un ingranaggio che continua a girare e a produrre sofferenze e crisi. Che possiamo fare per fermarlo? Niente?
Eppure, questa tetra coltre di fumo a volte viene trafitta da un raggio di luce. La notizia della liberazione di Cecilia Sala, per esempio, e in particolare questo video in cui, appena scesa dall’aereo che l’ha riportata a Roma da Teheran, è corsa ad abbracciare il suo compagno che la stava aspettando nei pressi della pista d’atterraggio.
È un gesto semplice, una tenerezza quasi spiata da noi utenti di Instagram, come se la telecamera fosse il buco nella serratura. Un video sgranato, breve, con la scena ripresa da lontano. Mi ha commosso. Mi ha fatto pensare: in mezzo a tutta questa precarietà, la speranza è trovare qualcosa che resta. Negli affetti possiamo trovare qualcosa che resta. In chi ci vuole bene. Nelle nostre comunità. In chi ha la speranza di cambiare le cose e la voglia e la forza di lottare. Questo mi sembra l’obiettivo da perseguire: cercare qualcosa che resta.