Pagarsi gli studi
Lavorare in concomitanza con lezioni ed esami è un'attività che troviamo sempre più ammirabile.
Ti sei mai sentito da meno rispetto a chi riesce a lavorare mentre studia all’università? Qui c’è una riflessione che può fare per te.
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Riesco ad immaginare i dettagli della mia espressione facciale quando la persona che ho di fronte mi rivela di rientrare nella coraggiosa categoria degli studenti-lavoratori. Un misto tra sorpresa e rispetto. D’altronde di qualcosa si deve pur campare; se non si vuole dipendere completamente dai finanziamenti familiari, rimboccarsi le maniche è necessario.
Gli studenti che ritagliano ore della propria settimana per guadagnare qualcosa sono più di quanto si pensi. Le statistiche ufficiali dell'Istat ne contavano 206.000 nel 2018, nel gruppo di persone tra i 15 e i 29 anni; senza considerare chi non è contrattualizzato. Pagarsi gli studi da soli - o comunque garantirsi una certa indipendenza dai genitori - mi sembra un orizzonte sempre più ambito. Forse, per meglio dire, sempre più inevitabile per molti.
L’esperienza universitaria rappresenta un momento importante di maturazione e autodeterminazione, ma in Italia le finanze pubbliche forniscono un sostegno marginale in questo percorso. Spese non indifferenti come quelle per l’affitto e le tasse rappresentano problemi con cui ogni studente si deve confrontare senza aiuti particolari, a parte quelli provenienti dalle poche agevolazioni erogate dallo Stato.
Si è posti di fronte ad una scelta: farsi aiutare dalla famiglia o procedere con le proprie forze? Spesso il dilemma è tra senso di colpa dovuto alla dipendenza da qualcun altro e preoccupazione per la propria vita sociale, stritolata tra libri e occupazione. Lo studente italiano è perennemente in una posizione scomoda, titolare di una vita che inizia ad essere autonoma ma che non può essere completamente tale, a meno che non si compiano sforzi rilevanti.
Questo reportage del Corriere della Sera racconta del rapporto tra welfare e studio in Danimarca. Chi vive da solo negli anni dell’università riceve in media più di 800 euro al mese; anche tenendo conto dei prezzi elevati della vita nel paese, una cifra non da poco. L’idea è quella di spingere i giovani usciti dall’esperienza scolastica a compiere un percorso di crescita personale, potendo contare su una certa somma di denaro che finisce direttamente nelle mani dello studente.
Se chi si confronta con anni di lezioni e memorizzazione è davvero una risorsa per la società in cui cresce, sostenerlo economicamente - alleggerendolo da difficili dipendenze - dovrebbe essere naturale. Buona parte del mondo occidentale non ci crede abbastanza; e meno male che non siamo negli Stati Uniti, dove per studiare ti devi indebitare.
Fare il cameriere o il rider, quindi, diventa l’unica strada percorribile per poter affermare la propria individualità in senso economico, per non sentirsi da meno rispetto a chi già paga le tasse. Spesso, proprio come nel caso dei lavoratori della ristorazione o dei fattorini, si tratta di lavori usuranti e sottopagati, in cui pagamenti in nero e sfruttamento sono all’ordine del giorno.
Qualcuno sostiene che l’esperienza nel mondo del lavoro possa contribuire a sua volta allo sviluppo personale. Come dargli torto. Questo processo, però, potrebbe essere guidato dall’ente universitario, sicuramente in grado di introdurre lo studente in ambiti professionali più vicini al suo percorso accademico. L’università invece ti manda nelle aziende a fare tirocini non pagati. Lo stipendio, tanto, lo guadagni portando le pizze.
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Se ti va condividi in giro. Da qualche giorno puoi anche mettere il link nelle storie di Instagram, potresti approfittarne. Domenica prossima parliamo di un mito istantaneo dei nostri tempi: Squid Game.