Corpi maschili
Abbiamo assorbito dalla cultura un'idea di ciò che ci attrae che non è più sostenibile.
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C’è questo amico con cui parlo spesso del rapporto tra i ragazzi e la propria immagine. Tutto è partito con dei meme sulle paranoie di chi pensa alle relazioni sentimentali come ad accoppiamenti tra mammiferi privi di libero arbitrio, ma presto siamo finiti a discutere di cosa si nasconde sotto la facciata grottesca di comunità come quella degli incel o dei pick-up artist.
Se una certa spinta progressista sembra finalmente produrre qualche risicato risultato a livello di sensibilizzazione sul corpo delle donne - il dibattito sulla body positivity e la recente levata di scudi contro il catcalling ne sono piccoli esempi, in un percorso che è chiaramente solo ai suoi inizi - per ciò che concerne la percezione fisica dei maschi sembra tutto piuttosto bloccato. Anche per colpa di una porzione non indifferente di uomini, incapaci di comprendere l’intersezionalità delle battaglie femministe e quindi pericolosamente ostili alle organizzazioni di quella matrice.
Ovviamente la questione del corpo femminile è particolarmente delicata e da non mettere per nessun motivo in secondo piano; le molestie, la pressione sociale per l’aderenza a canoni di bellezza e la discriminazione legata alle forme femminili sono un fenomeno ben più evidente e tristemente comune nelle società occidentali. Ho anche dedicato un numero della newsletter a questo tema, parlando di nudità.
Per un esame ho letto un articolo di Giovanna Cosenza, pubblicato sulla rivista Alfabeta2, dall’eloquente titolo Il corpo degli uomini. L’autrice dissipa da subito i dubbi sulla potenziale esclusività della sua riflessione: “Poiché i concetti di femminilità e mascolinità fanno sistema, e poiché il cambiamento di uno incide su tutti gli altri, non ha senso parlare di donne senza prendere in considerazione, come minimo, anche gli uomini”. Cosenza analizza un corpus di pubblicità italiane, ponendo l’accento su tre categorie di uomini rappresentati all’interno degli spot: l’uomo Bello e impossibile, quello col fisico da Superman e quello che Fa ridere. Solo quest’ultimo si propone come una scappatoia dalla condanna di corpi aderenti ai canoni di bellezza. Così si espongono “corpi belli ma privi di pensieri, emozioni, storie individuali” e la conseguenza è quella di un “grado troppo alto di svalutazione della complessità e varietà umana per non dovercene preoccupare”.
Eppure un confronto non intossicato da deliri ed estremizzazioni che pescano dal darwinismo sociale non si è ancora azionato, oppure è soltanto ai suoi albori - segnalo in questo senso Mica Macho, un collettivo che si impegna a tematizzare una nuova mascolinità distante dalla virilità machista.
Crediamo di aver superato stereotipi e modelli preconfezionati dalla società, ma al contempo siamo sensibili alle imperfezioni e fissati su dettagli che giudichiamo come non corrispondenti ai nostri gusti eccessivamente strutturati, anche se la “normalità” sono i segni e le peculiarità che portiamo sulla nostra pelle. Il corpo che riconosciamo come “bello” è quello atletico e definito di uno sportivo e tutti gli altri tipi di fisico dovrebbero allinearsi a quell’ideale. Naturalmente però, come succede in ambito femminile, ogni corpo ha una sua fisionomia e non sempre è possibile aderire a modelli che richiedono così tanto sforzo e dedizione, oltre ad una dose di predisposizione naturale; e a questo punto emerge l’idea che sia tutta una questione di volontà, perché per raggiungere una determinata forma fisica dovrebbe bastare soltanto l’intenzione di arrivare a quel livello.
I nostri gusti dovrebbero essere un canovaccio, una traccia che ci permette di selezionare corpi che per qualche motivo riteniamo più attraenti; ma a volte diventano barriere, fonti d’esclusività che non ci permettono di rompere norme convenzionali che ci obblighiamo, anche inconsciamente, a seguire.
Ci è richiesta quindi un’elaborazione più profonda riguardante la nostra identità che permetta un focus sugli aspetti da cui siamo attratti realmente, scremando il più possibile quegli schemi estetici che abbiamo assorbito dall’ambiente culturale. In questo modo si può arricchire l’ecosistema relazionale, che altrimenti rimane ancorato a condizioni imposte dall’esterno, di cui spesso neanche ci accorgiamo.
In un articolo di Alessia Poldi su The Vision si parla dei motivi che generano scompensi psicologici nei giovani e viene citato uno studio americano portato a termine da Jean Twenge. Al suo interno si evidenzia che l’ansia e la depressione di questa fascia di popolazione dipendono principalmente “dalla mancanza di controllo che le persone sentono di avere sulle proprie vite”. Il modo in cui si è percepiti è uno degli aspetti sui quali non si ha totale controllo; anche per questo una maggiore flessibilità nell’interazione relazionale con gli altri favorirebbe un contesto sociale più inclusivo e meno opprimente.
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