Stereotipi giovanili
La cultura d'oggi propone ancora un racconto artificiale delle generazioni più giovani: c’è una soluzione?
Bentornato e bentornata su Retroterra, la newsletter sulla forma mentis della società contemporanea. Oggi parliamo di quanto sia ancora difficile per libri, film e serie tv elaborare una narrazione realistica della vita di teenager e post-adolescenti.
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Il sociologo canadese Marshall McLuhan sosteneva che l’uomo potesse ambire ad una comprensione completa soltanto di fenomeni già conclusi. “L’uomo è coscientemente consapevole solo dell’ambiente che l’ha preceduto; in altre parole, un ambiente diventa completamente visibile solo quando è stato soppiantato da un altro ambiente” scrive nel saggio del 1969 Intervista a Playboy.
C’è anche questa incapacità di leggere una tendenza prima che essa svanisca a rendere così difficile una narrazione onesta e realistica del mondo adolescenziale e giovanile, in costante cambiamento e impossibile da mappare in modo convincente prima che si rivoluzioni, secondo regole indecifrabili.
Eppure la cultura d’oggi si sforza di fornire a ragazzi e ragazze dei prodotti in cui si possano rispecchiare; non solo per generare uno spazio letterario, cinematografico e televisivo alla portata di tutti, ma anche per coinvolgere una significativa porzione di pubblico pagante.
Se la televisione ha deciso di non dedicare troppa attenzione a produzioni in grado di rappresentare con coerenza degli spaccati giovanili, le piattaforme di streaming si sono invece intestate l’onere di proporre un vasto numero di teen-drama; Netflix è capofila in questo senso, con la distribuzione italiana particolarmente attiva negli ultimi anni grazie a serie come Baby e Summertime o al film Sotto il sole di Riccione.
Il problema è che nessuno di questi titoli riesce a far passare più di qualche minuto senza far venire un lungo brivido di disagio allo spettatore che dovrebbe invece immedesimarsi in quei tizi e quelle tizie che dicono frasi mai sentite, agiscono in modo assurdo - nessuno toglierebbe il microfono a Tommaso Paradiso per rivelare il proprio amore dal palco di un concerto, almeno spero - e, tirando le fila, finiscono per rappresentare un’idea di gioventù che proviene dalla mente di chi ha letto troppi libri di Federico Moccia.
Il punto è che, dando un’occhiata a opere che in passato si sono cimentate nello stesso tentativo, si nota come l’impresa di descrivere senza stereotipi la dimensione giovanile non sia mai stata del tutto completata. Penso ad un libro come Jack Frusicante è uscito dal gruppo, romanzo generazionale se chiedi ai millenials che l’hanno letto quando facevano il biennio, storia troppo intrisa di sentimentalismo e pseudo-ribellione se lo chiedo a me stesso - l’ho finito ieri.
Ricordo di aver avuto le stesse sensazioni che ho dedicato ad Enrico Brizzi e ai suoi personaggi quando ho visto Bianca come il latte, rossa come il sangue al cinema, trasposizione dell’omonimo libro di Alessandro D’Avenia. Ancora una storia tutta incentrata sull’emotività e su interazioni fittizie, artificiali. La canzone principale della colonna sonora era dei Modà, non sento di dover aggiungere tanto.
In fondo forse dovremmo accettare che questa età sia inattingibile, se ne possa fare esperienza solo sulla propria pelle senza poterla spiegare in modo chiaro e riproducibile. Però - se penso ai miei anni del liceo, o a quelli di università che ho già vissuto - ricordo problemi normali, rapporti ordinari, piccole vicende che diventavano dei casi pur essendo rilevanti solo dal mio punto di vista, amicizie nate e cresciute senza seguire percorsi particolarmente tortuosi.
Poi ci sono le eccezioni: le esperienze inattese, gli incontri assurdi e imprevedibili, i cambiamenti repentini. Alcuni tra i prodotti culturali più in voga negli ultimi decenni hanno deciso di mettere a tema solo queste ultime. Hitchcock sosteneva che il cinema fosse “la vita con le parti noiose tagliate” perché la tensione dei suoi thriller richiedeva di eliminare i momenti vuoti; una vena artistica indirizzata ad una narrazione fedele di una certa fase della vita dovrebbe invece prendere quelle “parti noiose” e trovare un modo per metterle al centro della narrazione, perché è proprio nelle questioni di tutti i giorni che si trovano gli aspetti più strutturali dell’esistenza di un adolescente o, per usare un’espressione che ho letto in giro, di un giovane adulto.
Non è tutto da buttare comunque. La leggerezza e l’ironia con cui Sex Education racconta i primi approcci con il sesso e con le relazioni sentimentali di alcuni adolescenti britannici dimostrano una certa raffinatezza e riescono a smontare l’eccessiva enfasi che può caratterizzare i rapporti in un periodo della vita in cui si sente il bisogno di essere presi sul serio. È un filtro perfetto per aggirare il rischio di dare troppa importanza alla tendenza sdolcinata che domina in gran parte dei prodotti destinati a chi non ha ancora le rughe, che pure non compromette un’analisi credibile dei problemi che coinvolgono gli studenti della Moordale Secondary School.
Sempre su Netflix si trova anche Skam Italia, una serie a cui mi sono avvicinato quando la mia bolla di contatti sui social ne ha parlato sorprendentemente bene. Per descriverla uso le parole di Alice Oliveri che su The Vision ha scritto: “Skam è un ritratto molto dettagliato di uno spaccato di società, quello di un normale liceo di Roma Sud (…) che non azzarda né sottovaluta le esigenze e le emozioni di un gruppo di diciassettenni piuttosto normali”. È il normale, l’ordinario che cerchiamo, forse perché di finzionale ce n’è già tanto, mentre mancano storie in cui ci si possa maggiormente immedesimare.
Sia Sex Education che Skam poi cercano di dare spazio a questioni sensibili e a trattarle con il giusto tatto; nella prima si approfondisce la reazione psicologica ed emotiva di una ragazza che viene molestata da un uomo che si masturba sull’autobus, nella seconda si dedica l’ultima stagione, la quarta, ad una ragazza musulmana e al suo punto di vista sulla realtà in cui si trova a vivere. Scelte non banali, che cercano di estendere i confini del teen-drama a personaggi e problematiche non ancora toccate e in linea con la società contemporanea.
Le storie giovanili contemporanee che seguiamo attraverso uno schermo o leggiamo nelle pagine di un libro sembrano ancora legate ad una forma spettacolarizzata, attraverso un modo di pensare che privilegia dinamiche un po’ forzate per far trionfare l’intrattenimento sulla fedeltà del racconto alla realtà in cui ragazze e ragazzi si trovano immersi. Forse qualcosa cambierà quando saremo in grado di accettare che gli anni da studenti sono speciali proprio per i loro dettagli, per gli aspetti semplici che li caratterizzano.
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